Visto che è diventato una moda, a quanto mi dicono fruttuosa, spiattellare su blog i propri capolavori mi sono detto che potevo umilmente mettere sotto il naso dei miei pochi ma buoni followers gli incipit di alcuni miei romanzi, editi od inediti oppure addirittura non ancora terminati. Un vezzo? Una becerata? Lo stabiliscano coloro che mi leggeranno.
1) Incipit di MARTEDÌ DOPO L'AUTUNNO, pubblicato da Baku Editore a Milano nel 2008
Erano tronchi d'albero ben sagomati, infilati nel suolo uno accanto all'altro, ad altezze leggermente diverse, come una palizzata sotterranea. li aveva osservati attentamente. Spiccò un salto e planò coi due piedi uniti sopra uno dei più larghi, malgrado l'età, l'uomo anziano era rimasto abbastanza agile. Spiccò un secondo salto e atterrò sopra una robusta cassa. "Questa però non l'ho inchiodata io", pensò e gli venne da ridere. La giovane femmina di elefante cominciò ad inquadrarlo meglio dentro la sua grossa pupilla sinistra. Se non fosse stata incatenata per una zampa si sarebbe già tirata indietro. Era inquieta perché il vento tirava al contrario e non riusciva a fiutarlo. Volse la testa per inquadrarlo anche con l'occhio destro.
Fatto come Uomo, non pensò, ma seppe, cattivo forse.
Nessuno era mai arrivato così vicino al fossato di sicurezza.
Troppo vicino, non pensò, ma temette.
La femmina di elefante volse la testa di qua e di là per vedere se arrivava Uomo buono, come tutti i giorni, ma lo stomaco sazio le fece capire che era ancora troppo presto. Con la proboscide aspirò con forza l'aria, ma le arrivarono solo odori vicini, il vento tirava ancora al contrario.
L'uomo anziano non si curava dell'elefante. Stava in bilico sulla cassa e pensava a come tutto era potuto accadere, a quando tutto era incominciato. Ma gli venivano in mente solo un paio di flashback che riguardavano quel posto e le due donne più importanti della sua vita, Ima e Christine.
C'era voluto il suo matrimonio in Germania per far spostare sua madre da Santa Marinella, ma la gente, i suoi amici di laggiù, chissà cosa avrebbero pensato se lei non avesse partecipato, quindi si era regalmente mossa. Non conosceva la sposa; c'erano stati abbracci e baci ed esclamazioni di meraviglia quando Ima aveva iniziato a fare sfoggio del suo hochdeutsch, del suo tedesco perfetto, anche se un po' duretto, retaggio della sua infatuazione per il Duce e quindi, di riflesso, anche per il Führer. Non c'era mai stato feeling tra le due donne. Il giorno prima delle nozze l'uomo anziano aveva portato sua madre in quello zoo, che era molto bello, prima di andare a pranzare in un ristorante italiano vicino al Teatro.
-Ti piace? -le aveva chiesto in modo brusco.
-Bello qui -gli aveva risposto sorniona lei. -Hanno più animali qui a Karlsruhe che noi a Roma.
-Intendevo Christine.
Non poteva rispondere "è bella quanto me, solo più giovane", questo mai. Disse, invece:
-Carina. Una linguetta veloce. Bella voce. Però....
Qui fece la solita pausa cattiva, perché sapeva di dare sempre tanto fastidio al figlio.
-Però che cosa? -sbottò lui, infatti.
-Sculetta troppo la tua somarella; io non avevo bisogno di farmi venire la scoliosi per attirare sguardi. -Il che era un avvertimento e una minaccia.
2) Incipit di FRANCOFORTE SUL MENO ANDATA E RITORNO pubblicato da Arduino Sacco Editore a Roma nel 2011
Sapeva di sognare. Tentava di svegliarsi senza mai riuscirci. Quel sogno era il suo tormento sin da quando era giovane: c'era qualcuno che lo inseguiva, lo sentiva ansimare sempre più da presso, ma non riusciva a vederlo. Le gambe gli diventavano pesanti e poteva muoverle molto lentamente, come se fossero impantanate nella mota.
Ogni volta gli sembrava di ripetere la stessa scena al rallentatore: sentiva l'inseguitore ormai vicinissimo, ma per quanti sforzi disperati facesse non riusciva a muovere le gambe velocemente. Alla fine crollava esausto a terra e la bocca gli si riempiva di terriccio e di qualcos'altro che cercava di strappare subito fuori, senza riuscirci: erano capelli, oppure erba o crini di cavallo. Più ne tirava fuori più la bocca ne era di nuovo piena. Dovevano essere proprio crini di cavallo, perché da piccolo lo facevano sempre dormire sopra un materasso di crini di cavallo per via della sua schiena, che era allora un po' debole, e ogni tanto se ne trovava un paio in bocca, duri come quelli del suo sogno.
Tentava di svegliarsi, ma nella bocca sentiva quella terra e quei crini moltiplicarsi. Cercava di aprire gli occhi, di tirar fuori le gambe dal letto, di buttare via le coperte, ma l'inseguitore era ormai su di lui. Oltre a quello dei suoi passi sentiva adesso anche un altro rumore, monotono, continuo, sempre più distinto.
Aprì gli occhi di colpo, zuppo di sudore. Un attimo dopo riprese coscienza della realtà: il rumore monotono del treno, che lo aveva aiutato ad addormentarsi, gli aveva anche permesso di uscir fuori dal suo incubo.
3) Incipit da SEBASTIANA CAMBIA PELLE, inedito, finito di scrivere nel febbraio 2014
Continuava a guardare le schegge di vetro di un'anta della cristalliera, che suo marito aveva spaccato con un cazzotto prima di uscire. Guardava quelle schegge sparpagliate sul pavimento ai suoi piedi e si chiedeva quando, come e perché le si fosse incominciata ad incasinare la vita.
Con uno spazzolone e la pattumiera Sebastiana aveva raccolto i vetri. Su qualche frammento c'erano tracce di sangue. Ancora sangue, come quattro anni prima a Bibione.
Tutto per colpa di un maledetto giornale sportivo. I quindici giorni di vacanza finivano alle dieci di quel sabato mattina; le due macchine erano ormai cariche a dovere di valige e pachi assortiti, quella di Sebastiana in pole position davanti al cancello della villetta dove avevano soggiornato due settimane, quando suo padre aveva deciso di andare a comprare il suo giornalaccio color rosa.
-Un minuto e torno.
Era sparito veloce dietro l'angolo del bar più vicino: l'edicola era proprio di fronte, dall'altro lato della strada. Sebastiana aveva allargato le braccia fissando sua madre, già seduta all'interno della seconda macchina accanto al posto di guida vuoto.
Uno stridore di freni e di ruote che si aggrappano all'asfalto, un botto e un silenzio innaturale. Poi tutti che accorrevano, certamente per curiosare. Si era mossa anche Sebastiana per portarsi via suo padre, che di sicuro stava in prima fila.
In primissima, si poteva dire al centro della scena, disteso in terra in modo scomposto e a ginocchia incrociate. Quello aveva visto Sebastiana: un mucchio di gente sgomenta e suo padre demolito, con la faccia contro un marciapiedi di travertino.
Raccogliendo i frammenti di vetro Sebastiana decise di datare l'inizio di tutte le sue disgrazie da quel lontano sabato mattina di Bibione. Ma non poteva adesso infilare tutta la colpa nelle scarpe di suo marito. Samuele era stato l'unico a sostenerla in quei primi giorni durissimi, l'unico dopo il funerale a difenderla dagli attacchi di suo fratello, che l'accusava di tutto, mentre sua madre sotto sotto gli dava ragione, come sempre.
Quel pomeriggio, appena finito di tumulare il padre nella tomba di famiglia, Joachim aveva messo su una gran cagnara, temendo che il vecchio avesse lasciato a Sebastiana la maggior parte di quel poco che ormai restava del loro patrimonio. Ancora una questione di precedenza, di primato, che Joachim pretendeva di vantare sulla sorella, anche se lei era venuta al mondo due ore prima. Ma il professore di latino e greco Pietro Grünewald non aveva ancora messo in conto di crepare, per questo non aveva mai fatto un testamento. Arrabbiatura inutile quella di Joachim: avrebbero diviso tutto a metà.
4) Incipit di LA STANZA SOSPESA ancora incompiuto
Rallentò il passo solo quando fu arrivato in Piazza della Repubblica. Gli era venuto il fiatone: tutta la salita di via IV Novembre e poi Via Nazionale a passi da leone, con la gente che si fermava a guardarlo poi girava la testa intorno pensando a una telecamera nascosta, facevano almeno quattro chilometri con un cappuccino e due brioche prese alla stazione tre ore prima.
"Adesso ho bisogno di un po' d'aria fresca", pensò e lì sul marciapiedi non ce n'era. Per questo attraversò il traffico a quattro colonne in quel punto della rotonda, schivando a pelo macchine e motorini, e sedette sul bordo della fontana sotto una delle quattro Naiadi bronzee di Mario Rutelli.
Lo scroscio dell'acqua copriva in parte il ronzio dei motori, ma il puzzo che usciva dai tubi di scappamento dopo qualche minuto era diventato intollerabile. Riattraversò la marea di macchine, che, pur procedendo a passo d'uomo, davano la sensazione della mandria di bisonti che tutto travolgeva di un film tridimensionale, che aveva visto qualche anno prima.
Cercò un bar e si infilò nel primo che incontrò. Gli era venuta una fame boia. Ordinò due tramezzini e una birra. A metà birra si fece altri tre tramezzini: se ne sarebbe pappati una diecina, ma non aveva abbastanza soldi in tasca. Si era seduto ad un tavolo d'angolo. Di fronte aveva una specchiera alta e stretta. Ci vide riflessa la mimica della sua faccia mentre che masticava. Finì la birra e si deterse la bocca con un tovagliolo. Riguardò nello specchio. Gli apparve il viso di un precario licenziato di fresco e incazzato nero.
"Bel lunedì dei cazzi e dei controcazzi", pensò. "Il degno inizio di una meravigliosa settimana di merda".
Non lo avevano nemmeno lasciato entrare nel suo ufficio.
-Ti vuole il capo.
"Mi vorrà dare del lavoro speciale per tutta la settimana", aveva pensato, "e farmi le sue solite mille raccomandazioni del cavolo". Così era avvenuto all'inizio di ogni settimana da ormai tre anni e mezzo.
Invece si era sbagliato. Lo aveva chiamato per dirgli che il contratto non gli sarebbe stato più rinnovato.
-Ma come? Ho fatto un culo grande così per laurearmi! Mi avevate promesso di assumermi fisso.
-Gradi, io dirigo solo l'Ufficio legale della Compagnia. Per quanto mi riguarda lei sarebbe potuto arrivare alla pensione qui dentro. Ma non decido io, e nemmeno il presidente qui a Roma. Le Assicurazioni Generali sono ormai un mostro a quattro o cinque teste e chi decide sta in un'altra nazione.
-Io ci facevo affidamento però: Mio padre ha fatto un credito per restaurare casa: come lo aiuto adesso?
-Gradi, mi dispiace tanto. Si prenda da adesso le sue ferie e si cerchi subito un altro lavoro.
"Un altro lavoro con la crisi che c'è in giro! Stanno tutti ad aspettare me a braccia spalancate. Adesso che cazzo racconto a mio padre?" aveva pensato mentre scendeva lo scalone.
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