sabato 24 maggio 2014

COME SI COSTRUISCE UN PERSONAGGIO

Nel costruire un personaggio di una commedia o di un romanzo io sono dell'avviso che non ci si debba discostare mai troppo da persone comuni, che cioè si possano realmente incontrare nella vita. Odio l'eccessiva teatralità o nebulosità di un personaggio, per cui preferisco volare basso.
Oggi voglio proporvi alcune pagine di un romanzo inedito, Rimasti a Suarez, dove il protagonista rivela a sua figlia la trama di una commedia che sta scrivendo per lei e il personaggio femminile che lei appunto dovrà interpretare.


Sofia arrivò di buon mattino, posò cappotto e borsetta e sedette su una poltroncina.
-Sono dispiaciuto di non poterti dare la buona notizia che aspetti, cominciò Jacopo scegliendo le parole, ma l'operazione mi ha molto affaticato, e poi tua madre mi ha portato soltanto il libretto dalla copertina rossa, come vedi. Gli appunti per la commedia sono nel mio armadio. Deve esserselo dimenticato.
-Non devi averglielo detto per niente invece, gli rispose lei indispettita.
-Come puoi pensarlo? Certo che glielo devo aver detto, almeno credo. Comunque la tua commedia è sempre stata in cima ai miei pensieri.
-Perché mi dici bugie, papà? Te lo sento ripetere da almeno sei mesi e comincio a pensare che non vuoi farne niente. Se avessi incominciato a lavorarci quando hai preso l'impegno con noi avresti finito di scrivere la commedia prima del tuo incidente, e adesso potremmo già iniziare la lettura col regista.
-Eh no, bella mia! Un testo teatrale dal contenuto drammatico come quello che ho in mente di scrivere per voi non si butta giù in un paio di mesi. Devo riflettere prima e dopo ogni battuta, pesarle col bilancino perché tu sai che io odio cadere nel melenso, nel ridicolo e qui il rischio è grosso. Devo comporre bene la scaletta in modo che la situazione in scena sia sempre tesa al massimo e il pezzo non perda ritmo e drammaticità. Non è lavoro da poco. 
-Ma è solo una commediola in due atti, papà. Manfred mi ha detto che non dovrò faticare molto per entrare nel mio personaggio. Situazione tesa al massimo? Ritmo e drammaticità? Ma che dici? La nostra è una filodrammatica, papà, e io sono una buona attrice dilettante ma niente di più. Non vorrai complicarmi il personaggio in modo che poi non ci capisco più niente?
-Cosa ti ha detto Manfred? A tuo marito avevo appena accennato l'argomento, voglio sentire cosa ti ha raccontato.
Sofia si accomodò sulla poltrocina, sbuffò e rispose con molto sussiego.
-Una coppia di sposi ancora abbastanza giovani, senza figli, una coppia che è un po' stanca del matrimonio come tante, tira avanti alla meno peggio il ménage quotidiano finché succede qualcosa, un incidente a lui, no a lei mi pare. Allora tutto cambia e i due si ritrovano di nuovo.
-Happy end, insomma.
-Happy end, certo. È una commedia, no?
-E così vissero infelici e scontenti, esclamò Jacopo facendo l'atto di applaudire con entusiasmo. Quel testone di tuo marito non ha capito un accidente, aggiunse buio in volto.
-Vuoi dire che non c'è lieto fine?
-No. C'è un finale molto triste invece, molto doloroso.
-Un dramma vero e proprio insomma, col morto, disse Sofia protendendosi verso il padre.
-Macché morto! È un dramma psicologico di due esistenze sconfitte dalla vita, che si annullano, diventano piatte, vuote, lo zero assoluto.
-Raccontami la trama, è meglio, risolse Sofia incrociando le braccia in attesa.
-Sei matta? Sai bene che porta male: non si racconta mai la trama di una commedia finché non si è finito di scriverla.
-Non puoi piantarmi in asso in mezzo a una strada proprio adesso. Non potrei tornare a casa come se niente fosse successo, tu mi conosci.
-Neanche per sogno! Non insistere, Sofia. Ti ho già detto che porta male.
-Non mi muovo di qui se non me la racconti. Resto qui anche stanotte.
Jacopo guardò desolato la ragazza, leggendole l'ostinazione negli occhi.Sapeva di non avere scelta, doveva iniziare la narrazione prima che Sofia si mettesse a piangere.
-Stai calma, ragazzina.
-Tu comincia a raccontare, allora.
-Va bene, ma tu stai calma e non mi interrompere.
Prese fiato e rifletté un attimo. Dal momento che non aveva ancora scritto niente temeva di pasticciare un po'.
-Se avrai domande da fare le farai alla fine, d'accordo? Altrimenti neanche incomincio.
-D'accordo, però prima voglio conoscere il titolo e sapere quanti personaggi ci sono.
-I personaggi sono solo due: un marito e una moglie.
-Hai già trovato i nomi?
-Per lui ho immaginato G.O., proprio così, Gi maiuscolo puntato O maiuscolo puntato. Per lei ho pensato a W., doppio vu puntato come Woman. Non ha nessuna importanza, tanto non si chiamano mai per nome in scena.
-W. potrebbe andare, per lui preferisco Giò a G.O.
-Neanche parlarne. Sa di John, detesto i nomi americani, John, Steve, Nick. Per carità!
-Giò come Giovanni abbreviato. Come Giò Pomodoro. Non sei un suo ammiratore, papà?
-No. Preferisco suo fratello Arnaldo. Comunque va bene G.O.Ti ho detto che non è importante, tanto non si chiamano mai per nome.
-Questo lo hai già deciso?
-Già deciso. Lasciandoli chiamare per nome significherebbe personificarli, definirli e chiarirli; questi invece devono calcare la scena del tutto impersonificati: non sono Maria e Carlo che parlano dei fatti loro, ma l'Uomo e la Donna che tirano fuori i fatti di tutti.
-Adesso fuori il titolo, per favore.
-Penso che alla fine opterò per "ritratto d'ignoto in bianco e nero".
-Perché in bianco e nero? E perché non "di ignota"?
-Eravamo rimasti d'accordo che non avresti fatto domande fino alla fine. Devo ancora iniziare e ne hai fatte cento.
-Vorrei più spazio per la protagonista, anche nel titolo.
-Se mi permetti di raccontarti la trama capirai perché è un ritratto d'ignoto e non di ignota, perché è in bianco e nero e non in technicolor.
-Ho solamente espresso un'opinione.
-Adesso però fai silenzio.
Jacopo bevve un bicchier d'acqua e si sistemò sul letto meglio che potè. Tenne brevemente gli occhi socchiusi raccogliendo le idee.
-Si tratta di questo: una giovane donna in seguito a un incidente, causato dall'imperizia del marito nella guida, ha perduto una gamba e con essa la gioia di vivere. Si chiude in se stessa fino a rinunciare a vivere una vita normale. Si ritira in una soffitta dove trascorre il giorno e la notte. La scena infatti va divisa in due piani: al piano inferiore la camera da letto matrimoniale dove dorme da solo il marito. Al piano superiore c'è la soffitta collegata con la camera da letto da una scala di legno retrattile. Nella soffitta ci sarà solo un letto, un tavolo, una poltroncina e un armadio. Lì dentro vive la donna che è occupata tutto il tempo a inventariare e classificare.
Fece una breve pausa e fermò con un cenno secco Sofia che già apriva bocca per formulare domande.
-A proposito della scala retrattile ho pensato che se non fosse possibile o pericoloso per te arrampicarti e scendere per una scala ripida tenendo una gamba rigida a simulare una protesi si potrebbe ripiegare su una normale scala di legno di quattro i cinque gradini.
Comunque tu stai in questa soffitta e fai l'inventario di tutte le parole che lui ti dice, catalogando tutte le ripetizioni. A ogni parola aggiungi sempre la corrispondente col significato contrario e registri tutto su piccole schede. Ti faccio un esempio: lui ti dice che sei ostinata e tu scrivi, ostinata =tenace, risoluta; poi scrivi il contrario di ostinata e cioè remissiva = docile, sottomessa; poi passi le parole dentro i diversi classificatori.
Dimenticavo di dirti che i dialoghi avverranno tra te che stai in soffitta e lui che sta ai piedi della scala. Potrà salire i gradini ed appoggiare un orecchio alla tua porta per ascoltare le tue risposte, che saranno sempre a bassa voce.
Dunque tutto l'interesse nella vita di W. sembra essersi ridotto a ricercare la monotonia delle ripetizioni e i significati opposti alle parole del marito. Ma aggiungendo sempre i contrari di ogni parola e quindi di ogni concetto, la luce-le tenebre, la vita-il nulla e così via, giunge alla negazione di tutto e al non riconoscere più niente, perché tutto le diventerà ignoto: il marito, il mondo esterno, il genere umano, la vita e infine se stessa. Capisci il titolo adesso? Non è ritratto "di ignoto", intendendo suo marito, bensì "ritratto d'ignoto" per alludere a tutto, se stessa compresa che W. non capisce né riconosce più. Naturalmente "in bianco e nero" non significa grigio, non avendo niente a che vedere coi colori, ma appunto positivo e negativo.
In questo testo alcune situazioni mi sono chiare altre le devo ancora studiare. Sto pensando di creare come una terza dimensione sospesa tra camera da letto e soffitta: lassù c'è l'assoluta incapacità di vivere di W., sotto l'assoluta impossibilità di vivere di G.O., giacché anche lui cade in una fase di disperazione dovuta al senso di colpa, esasperata dal mutismo di lei che non gli rivolge quasi più una parola. Ho immaginato un vecchio trucco di teatro: una specie di schermo trasparente tirato per tutta la scena sul quale, oscurando il resto della scena, far riflettere una serie di immagini relative al passato gioioso della coppia. Così, di tanto in tanto. Poi ho pensato a una serie di brevi monologhi, così lei da ogni parola che cataloga tirerà fuori un concetto una frase riguardante il suo stato di sciancata e di reclusa volontaria, mentre lui potrebbe stare costantemente con la radio accesa sui notiziari adattando la notizie di volta in volta al suo stato di marito abbandonato da moglie mutilata per causa sua.
Il difficile è creare una dimensione utopica di due vite-non vite vissute in parallelo ma separatamente da due esseri-non esseri.
-Ma allora la commedia si conclude così con due esistenze che si annullano? Non c'è un finale?
-Il finale c'è inaspettato ma conforme all'intera storia. Tanto per chiarire G.O. se ne starà tutto il tempo seduto in poltrona ad ascoltare notiziari e recitare i suoi monologhi. Ogni tanto abbandonata la poltrona salirà gli scalini, appoggiando un orecchio alla porta della soffitta, dove lei starà a bassissima voce catalogando le ripetizioni di lui e i suoi contrari. Questo gioco si ripeterà fino ad infastidire il pubblico a significare la monotonia, la noia, la routine della vita di ogni giorno.
La conclusione arriva quando W. si rende conto dell'assurdità della nuova dimensione umana che lei stessa si è creata. Qui dovrò essere molto attento perché il cambio di rotta si dovrà avvertire lentamente attraverso la scelta dei temi che lei sceglie e che si racconta nei suoi monologhi, che diventeranno sempre meno surreali e sempre più normali. Passerà per gradi dalle iperboli alle banalità, dimenticando di classificare i contrari e smettendo infine di inventariare. G.O. invece continuerà a dire sciocchezze in poltrona, perché non sa quello che avviene in soffitta oppure non è in grado di cambiare, sotterrato dalla noia quotidiana.
W. quindi, che ha capito l'inutilità dell'annullamento della propria vita e di quella del marito, apre la porta della soffitta e ne esce. Scende a saltelli la scala, si spoglia e si infila nel letto matrimoniale mentre G.O. è in bagno. Rientrando nella normalità annulla la sua nuova identità di classificatrice di parole e appiattisce tutto nel quotidiano.
Ma quando G.O. rientra si rivolge verso la soffitta pensando che lei sia sempre lassù e mentre si spoglia le chiede stancamente, molto stancamente, strascicando le parole come ormai fa sempre, di scendere e non si accorge che lei è già nel letto. Si introduce sotto le lenzuola, si gira sull'altro fianco e dopo un po' si sente che dorme.
W. allora esce pian piano dal letto, si riveste e torna di nuovo nella soffitta. Prende una scheda e scrive. Poi legge ad alta voce la parola che ha scritto: respiro = vita = tutto; e il suo contrario: non respiro = assenza di vita = niente.
E qui cala il sipario.

Jacopo si versò un altro bicchiere di acqua minerale e lo bevve. Guardò Sofia che se ne stava muta e preoccupata, sprofondata nella sua poltroncina.
-Non mi sembra che ti sia piaciuta molto.
























2 commenti:

  1. Mi pare che ti è rimasta appiccicata addosso la mania di comporre pezzi teatrali alla Samuel Beckett. Dai Viciè, questo mi rassomiglia a quello di tanti anni fa, scusa ma il titolo non me lo ricordo più, mi pare che ci fosse un uccello che precipitava in fiamme, una cosa così, che era un bel pezzo che mettevi su per quell'attrice sposata col direttore della Deutsche Schauspielhaus di Köln, che però divorziarono e non se ne fece più niente. Quello era un bel pezzo, mi piaceva. Questo non lo so. A te ti piace? Ma poi bisogna vedere i dialoghi e questi non dialogano, una sopra e lui sotto, che non sarebbe una mossa stupida, anzi, ma è difficile tenere l'attenzione del pubblico per due ore così. Ma sta in un romanzo? Com'è sta roba?
    Ciao Viciè, e vai a votare. Filippo.

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    1. Complimenti per la memoria, Filì: si tratta del 1978! Il titolo era "Il gabbiano spento". Bruciava, ma poi atterrava e di uccello non aveva niente. A te allora non garbava l'idea dell'altana in mezzo alla scena col protagonista -il vecchio- seduto sopra che tutto osserva per entrambi gli atti. "Ma chi è chisto, Dio?" mi chiedesti. Una specie. Alla grande attrice, superfica che non guasta, ad Anette Fröhlisch-Smidt piaceva un sacco, ma stava sempre a litigare col regista, quel Cinti italiano che sapeva tutto meglio e alla fine si sono lasciati e lui ha subito tolto la commedia dal programma, il figlio di puttana. Sarebbe stato un successo e si incomincia così, che cosa credi?
      Samuel Beckett, dici? Irripetibile. A me piace quell'atmosfera di sospensione, di mai concluso, di inconcludibile e nello stesso tempo di ineluttabile che c'è in ogni vita umana, solo che non le si dà abbastanza valore, la si trascura per correre dietro alle troiate de lo monno infame. No, Beckett è altro. Pensa a Finale di partita, pensa a Aspettando Godot e lo hai centrato: tutto succede e non succede mai niente. Là Vladimiro è l'attesa dell'Evento, del Destino; qui W. è l'Evento.
      Ma questa non diventerà mai commedia, resterà sempre incorporata -e mai scritta- nel romanzo. È finito da tre anni e non lo mando a nessun editore. Perché? Perché di difficile comprensione, non passerebbe la prima lettura. Mi occorre un piccolo successo che induca un editore di un certo calibro a pubblicare a prescindere. Ci spero.
      Sei diventato un abitué e me ne rallegro.
      A votare vado oggi. La signora è troppo pigra e si stiracchia tutta mattina e poi andiamo insieme a mia figlia, che non è sicuramente pronta prima delle sedici. Io voto Schultz, e tu?

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