mercoledì 23 novembre 2011

PROVA DI ROMANZO 4

Dall'ultimo manoscritto battuto con la portatile Olimpia.

1. Non avrebbero potuto mai scoprire la sua fuga prima che fosse lontano. Il Proconsole pensava lentamente e gli sarebbe occorso come minimo una mezza mattinata prima di tirare fuori uno straccio di idea. Dato poi che dopo ogni pasto dormiva in poltrona dalle due alle tre ore filate per smaltire, poteva calcolare in due giorni il vantaggio che aveva. Due giorni non passano mai se hai mal di denti e volano come il vento di mare se stai a letto con una bella femmina, ma potevano essere un vantaggio rassicurante se si hanno amici fidati, e lui ne aveva ancora.

2. In galera era stato insieme a Gegè Rossetti ventitré giorni e ventiquattro notti. Gegè dormiva di giorno, mentre lui scriveva e leggeva giornali. Di sera Gegè si svegliava e cucinava sughi eccellenti, e poi di notte gli raccontava i fatti suoi, che forse erano anche tutti veri. Lui un po' lo ascoltava, un po' dormiva, ma Gegè non si arrabbiava quando lui dormiva. Era sempre contento quando poteva raccontare i fatti suoi, anche a gente che dormiva.

3. Il Proconsole poggiò il foglio sulla scrivania e mise un dito sopra uno scarabocchio.
-Che parola è questa? Domandò.
-Misteriosamente, lesse la guardia decifrando a fatica.
-Li hai scritti tu sti appunti?
-Sì, ieri sera in tutta fretta, senza poter rileggere, e poi io non scrivo tanto bene.
-E che vuol dire sto misteriosamente?
La guardia ci pensò un po'.
-Che non si sa come cavolo ha fatto.
-Ho capito, disse il Proconsole, e sospirò.
-Non va bene misteriosamente?
-Va benissimo.

4. -Conosci il "Blaues Wunder"? E allora portamici.
Dopo un quarto d'ora arrivarono. Gli era sembrato di essere passato due volte in una piazza con uno strano obelisco, ma forse ce n'erano due, e poi si sa che i tassisti si arrangiano un po' quando il cliente non conosce la strada.
Il Bar era quasi vuoto. Una ragazza gli si avvicinò con le lunghe cosce nude e le tette mezze fuori.
-Aspetto gente, le disse fermandola con un gesto. Una pils ghiacciata, chiese al cameriere dietro il banco.

5. Gegè raccontò tutto da capo perché pensava che lui non avesse sentito bene. Alla Haupbahnhof di Francoforte a mezzogiorno e dodici minuti del terzo giorno di giugno del millenovecentonovanta discendeva Gegè Rossetti dal direttissimo Roma-Francoforte sul Meno. Teneva una valigia di cinghiale marrone scuro nuova nuova, un bel vestito di lino chiarissimo e mocassini di Armani. C'erano amici suoi ad aspettarlo, perché Gegè Rossetti non era mai solo.

6. Diciassette anni prima arrivava alla stessa stazione il padre suo. Era quasi mezzanotte, d'inverno, e lui teneva una valigiaccia di cartone legata con lo spago; non aveva cappotto, però indossava un maglione da ciclista fatto a mano sotto la giacchetta lisa. Reggeva in mano un cartoccio e dentro c'era un mezzo filone di pane, un salame casareccio con aglio, un quarto di forma di pecorino col pepe fatto in casa e due pugni di olive nere. C'era un vecchietto che lo aspettava, un paesano suo.
-Ti porto alla baracca.

7. -Se quegli amici tuoi ancora non vengono forse posso farti compagnia io.
-Chi ti ha detto che sono amici miei?
-Mi era sembrato.
-Io ho detto che aspetto gente.
-Scusami se ho capito male.
-Aspetta, vieni qui.
Le infilò una mano sotto la minigonna, dentro le mutande, le passò il dorso di due dita lungo le grandi labbra: erano asciutte, come aveva pensato.
-Se voglio ti chiamo io.

8. Il Proconsole bevve un bicchiere di vino rosato.
-È arrivata una telefonata urgente dal Centurione, disse una guardia trafelata mostrando un biglietto. Ho scritto tutto quello che ha detto.
-Dopo, adesso devo mangiare.
Il vino rosato era l'aperitivo, quello stronzo lo aveva visto bere, doveva saperlo.
-Domani sei di servizio esterno tutto il giorno, e anche dopodomani.
-Nossignore, dopodomani sono libero, mi avete già firmato il permesso.
-Revocato. Dopodomani servizio esterno.

9. Gegè si alzò dalla branda per farsi un caffè.
-Lo vuoi anche tu? Guarda che lo faccio forte assai, poi non ti lamentare.
Cuoceva tutte le volte un caffè quando raccontava delle baracche, forse perché il profumo del caffè gli faceva uscire dal naso la puzza schifosa di quei posti.
Ma Gegè quando l'aveva mai sentita? Lui sì.

10. Alzò il ricevitore.
-Trovatelo, disse una voce.
Riattaccò e fece segno a quello dei due uomini con la tuta da meccanico.
-È libero.
-Quanto tempo c'è?
-Due o tre giorni prima che lo riacchiappino i pretoriani.

11. -Quello è il letto tuo, disse il vecchio paesano. Domattina si attacca alle sette. Ti sveglio io alle cinque e mezza, sennò non fai in tempo a darti una lavata e a mangiare qualcosa. Adesso dormi, ti sveglio io, non stare col pensiero, buona notte.
L'altro si girò su un fianco e si addormentò di colpo. Sognò il mare.

12. -Adesso leggi, disse il Proconsole, ma fa alla svelta.
Incominciò, ma si fermò subito.
-Che c'è? Chiese il Proconsole spazientito. Non capisci quello che hai scritto?
Ci rinunciò, e gettò il foglio in un cestino.
-Il Centurione mi ha detto che hanno trovato una traccia sicura che porta fuori città.
-Niente affatto, lo interruppe subito il Proconsole. Quello non è scemo e questa notte resta di sicuro in città.
-Cosa dico al Centurione?
-Di cercare a casa delle puttane; da qualcuna deve essere.

13. L'uomo con la tuta da meccanico andò in garage e prese le chiavi del furgone.
-Perché quello schifo?
-Non dobbiamo dare nell'occhio, ci staranno già i Pretoriani in giro che lo cercano da per tutto. Un furgone dell'Autosoccorso può girare quanto vuole.
Salirono sul furgone e si diressero a una pompa di benzina. C'erano da fare un po' di telefonate prima.

14. Alle cinque della sera del suo primo giorno di lavoro in una fabbrica Salvatore Rossetti, padre di Gegè, rientrò nella baracca e non teneva nemmeno la forza per sfamarsi, lui che lavorato non aveva mai. Per questo ci mise poco tempo per ricominciare a fare quello che sempre aveva fatto. Tre mesi dopo aveva due turche che lavoravano in casa a venti marchi a colpo, e una polacca nella zona del Cimitero Centrale, che incassava in una serata più del doppio delle turche in un giorno intero. Un anno dopo Salvatore viaggiava in Mercedes decappottabile e aveva in casa un armadio lungo sei metri pieno di vestiti, di cappotti e di scarpe, quarantotto camicie di seta e tre orologi d'oro delle migliori marche svizzere.

15. I Pretoriani avevano già controllato inutilmente tutti i bordelli privati, e cominciarono dal quartiere Ovest a cercare nelle case delle prostitute che erano nei loro elenchi. Qualcuna già dormiva, altre erano a letto con clienti fissi. Nessuna conosceva il ricercato, e poteva anche essere vero perché l'uomo non era di quella città. Comunque i Pretoriani continuarono col quartiere Nord-Ovest.

16. L'uomo che indossava la tuta da meccanico aveva finito con le telefonate. Risalì sul furgone dell'Autosoccorso e mise in moto.
-Dov'è che andiamo?
-Cerchiamo in uno dei bar a luci rosse e negli Spielkasino. L'informazione non è precisa, ma il tizio deve incontrare qualcuno in un locale questa notte.
-Dobbiamo freddarlo subito?
-Non prima di aver saputo con chi si incontra, e poi noi dobbiamo solamente trovarlo, il resto non è affar nostro.
Cominciarono dai locali del quartiere Sud-Est.

17. La ragazza gli si avvicinò non appena lui le fece cenno.
-Abiti lontana da qui?
-Duecento metri, roba di due minuti.
-Abiti da sola?
-No, con mia sorella ma lei adesso è in ferie col suo amico.
-Torna questa settimana?
-No, alla fine del mese.
Le mise in mano un mazzetto di banconote ripiegate, tenute ferme da un elastico.
-Andiamo.
-Adesso subito?
-Certo.
-Non avevi detto che aspettavi qualcuno?
-Non viene più stanotte.
Si diresse al banco. Mise una banconota da cinquanta davanti al muso del cameriere.
-Il resto è per te, e questo se dimentichi che sono stato qui e con chi sono uscito.
E gli cacciò nel taschino della giacca un paio di cento. Raggiunse la ragazza che era già vestita con un lungo mantello nero, e uscì insieme a lei.

18. Salvatore si arrampicò fino al più alto gradino della scala. In tre anni appena aveva ventuno donne dai diciotto ai ventitré anni. Solo la polacca era un paio di anni più vecchia, ma quella era un numero speciale, di classe rara, una fica imperiale, una prostituta di altissimo bordo, e lui l'aveva piazzata in una suite dell'Intercontinentale, che gli costava ottocento marchi a notte. Ma c'erano due o tre vecchioni sbavanti che facevano a botte per pagarle l'affitto. Con la polacca Salvatore faceva a metà da bravo fratello, e con quei soldi si era comprato una bisca semiufficiale nella zona del porto fluviale. Si era ben organizzato e protetto: tra i suoi clienti c'erano due Centurioni dei Pretoriani e un Prefetto di provincia.
-Sai, disse Gegè, che mio padre non c'è mai andato a letto con la polacca?

19. Quando l'uomo che indossava la tuta da meccanico e il suo compagno entrarono nel "Blaues Wunder" i séparé erano tutti occupati e c'era parecchia gente intorno al banco, ma il cameriere capì subito chi cercavano e si preparò la faccia da innocente, non tanto per i soldi che aveva preso quanto perché sapeva cosa gli sarebbe successo se faceva uno sbaglio: questi due o quell'altro che era uscito prima con la ragazza gli avrebbero strappato la pelle dei coglioni.
-Hai visto qui dentro questa sera un tizio alto come me, sui trenta, moro di capelli con un vestito bianco di taglio italiano?
-Uno così stasera non l'ho visto, anzi non l'ho visto neanche ieri sera, non l'ho visto mai.
-Come fai a esserne così sicuro?
-Vedi qualcuno con un vestito bianco girare d'inverno?
-Se ne vedono tante al giorno d'oggi.
Il cameriere voleva fare un po' di polemica, come suo solito, ma pensò che era meglio calmarsi.
-Sì, se ne vedono tante, hai ragione, ma questo col vestito bianco io non l'ho visto.
-Tieni gli occhi aperti, e se capita qui dentro chiamami a questo numero.
E gli lasciò un biglietto sul banco.
-Ci scappa qualcosa per me?
-Tu pensa a chiamarmi, qualcosa poi ci scappa sempre.

20. Fu tutto a causa di una ragazzina ungherese di diciannove anni, che Salvatore aveva rimorchiato a Berlino. Era inesperta e piena di principi cretini, ma sarebbe diventata una miniera perché era una di quelle femmine che appena le vedi ti mandano il sangue in cottura, e quindi Salvatore doveva andarci con calma e farla innamorare per bene. Ci mise tre mesi per convincerla a fare una vacanza insieme a Mallorca e lei ci andò perché non c'era mai stata e non aveva ancora mai volato. Ma dopo tre giorni e due notti non era ancora riuscito a scoparsela anche se lei gli giurava amore eterno, e lui non poteva prenderla con la forza per via dei suoi principi bastardi, ché allora avrebbe rovinato tutto, e questo significava che doveva rimanere almeno una settimana in più del tempo previsto per poter attuare i suoi progetti.
Finalmente la cosa prese la piega giusta e dopo una decina di giorni Salvatore riuscì a farle fare la prima marchetta con un cliente dell'hotel conosciuto sulla spiaggia, convincendola a forza di manrovesci.
Quando tornarono l'ungherese andava ormai a tutto vapore, ma la polacca era sparita dalla suite dell'Intercontinentale da più di due settimane, e per soprammercato c'erano quasi dodicimila marchi da pagare perché quella mucca non aveva disdetto nemmeno per telefono.
Salvatore aveva l'ungherese che col tempo gli avrebbe dato il doppio dell'altra, ma non poteva tollerare l'affronto, doveva salvare la faccia e vendicare il suo orgoglio ferito. Non ci mise tanto a scoprire che era andata insieme ad un bulgaro, che la faceva lavorare in una villa a Wiesbaden. Salvatore ci andò subito con un paio dei suoi ragazzi. Volava farsi dire dal bulgaro prima di sgarrargli la trippa col coltello come aveva fatto a portargliela via, visto che nessuna donna lo aveva ancora mai piantato.
-Mio padre non riuscì mai a farselo dire, perché il bulgaro gli sparò in faccia due volte prima di dirgli buongiorno, disse Gegè. Così: bumm, bumm! Padre, ragazzi e tutto. E buonanotte Gesù.
Si accese una sigaretta.
-Del corpo di mio padre e degli altri due non si trovò più traccia. Finì così.

21. Si spogliò nudo e si mise sotto la doccia. Ne aveva proprio bisogno. Quando ne uscì la ragazza lo aspettava sdraiata semi svestita sul letto.
-Non ti offendere, ma questa sera non mi va. È stata una giornata per niente monotona e sono stanco morto. Domani, forse, poi vedremo.
Lei non gli rispose e si accese una sigaretta. Lui si infilò sotto le coperte.
-Non mi raccontare niente di te, gli disse, è meglio.
-Se non sai non puoi tradire, è questo che vuoi dirmi?
-Non soltanto questo. Voglio dire che se non so niente di te non mi affeziono, capisci?
-Hai ragione, è meglio per te se non ti affezioni.
-È meglio per tutti e due, gli rispose lei.

22. Alle tre del mattino i Pretoriani avevano finito di tirare giù dal letto tutte le puttane iscritte negli elenchi dei domicili privati, ma non avevano avuto la miseria di una risposta soddisfacente. Nessuna di loro lo aveva mai sentito nominare. Impossibile che avessero mentito tutte. Qualcuna l'avevano picchiata un po' perché si spargesse la voce che i Pretoriani erano disposti a disfare facce e fracassare ossa per ottenere quel che volevano, come l'ultima, la biondona che avevano lasciata per terra nel corridoio di casa sua col volto tumefatto e il naso e le labbra spappolate. Di certe cose quelle donne lì hanno il terrore, e si poteva stare certi che si sarebbero date da fare e passato parola. Il ricercato non avrebbe più trovato una porta aperta a casa loro. Comunque adesso il Centurione si era convinto: quel tizio non stava con una puttana. Il Proconsole aveva preso una cantonata, e non era la prima volta. Cominciò a scrivere il suo rapporto badando bene a non esprimere un tale giudizio sennò gli sarebbe toccato almeno un anno di servizio di confine in mezzo al gelo.

23. L'uomo che indossava la tuta da meccanico uscì dal "Blaues Wunder" e rabbrividì.
-Tu resta nel furgone, io vado a telefonare, quello lì ci ha presi per il culo: il tizio è stato qui dentro.
-Come fai a dirlo?
-Faceva l'indifferente ma sudava freddo. Se adesso torno dentro e gli pianto gli occhi addosso quello si piscia sotto.
-Che gli dici al telefono, che mandino ancora qualcuno?
-Perché? Hai bisogno di rinforzi? Ti pisci addosso anche tu adesso?
-Ma no! È che non so chi è il tizio che cerchiamo e che cosa dobbiamo farne, e questo mi massacra i nervi.
-Te l'ho già detto prima: noi dobbiamo solamente trovarlo, al resto ci pensino gli altri. Come vedi non c'è bisogno che ti fai venire la diarrea.
Gli voltò le spalle e si avviò verso la cabina telefonica.

24. Gli amici che lo aspettavano nella Hauptbahnhof di Francoforte quel terzo giorno di giugno gli dissero subito che di tutto quello che aveva messo su suo padre in cinque anni non era rimasto quasi più niente per lui.
-Si è preso tutto don Pietro Scognamiglio.
Gegè ascoltava e stava zitto, ché nemmeno della sua ombra si fidava.
-Lui ti vuole vedere, gli disse un altro a bassa voce.
Ma Gegè non si fidava.
-Qui non puoi fare niente se don Pietro non vuole. Lui era amico di tuo padre, portò il lutto tre giorni per lui, e fece scannare il bulgaro e la polacca.
-Digli che vado domani.
-No, stasera.
Quando venne la sera ci andò.

25. Un Caposquadra portò al Centurione una soffiata che gli era arrivata alle orecchie.
-C'è da andare a mettere il naso in un Bar nella Blumen Strasse.
-Qualcuno ci ha visto il ricercato?
-No, Centurione. Nessuno ha visto niente di preciso.
-Allora cos'è sta storia?
-C'è chi dice che in quel Bar deve avvenire un incontro tra due persone sospette; uno potrebbe essere lui.
-Come si chiama il locale?
-Blaues Wunder.
-Portaci la tua squadra, ma rimani fuori al coperto e aspettami.
Spedì un corriere al Proconsole con la comunicazione di urgenza. Poi si avviò verso la Blumen Strasse. Non era molto distante da lì.

26. Si svegliò di soprassalto in un bagno di sudore. Non doveva aver dormito più di una mezzoretta. La ragazza era sveglia, coricata su un fianco e lo guardava.
-Hai avuto un incubo, gli disse. Eri molto agitato.
-È tanto tempo che non riesco a riposare tranquillo.
Buttò le gambe fuori dal letto e si accese una sigaretta. Guardò la ragazza.
-Quello dietro il banco del Bar conosce questo indirizzo?
-Sì, una volta stava insieme con mia sorella.
-Allora conviene andarcene di qui.
-Guarda che quello non lo va a dire a nessuno, io lo conosco bene.
-Non mi fido, è troppo rischioso.
Si alzò cominciando a rivestirsi.
-Hai una macchina?
-Sì, nel garage. Una piccola Lancia molto veloce.
-Vestiti, ce ne andiamo subito.

27. Dalla macchina appena arrivata discese uno spilungone con mani e piedi enormi. Si strinse nel lungo cappotto e tirò su il bavero di pelliccia perché faceva un freddo polare. Si avvicinò al furgone ed entrò nella cabina accanto all'uomo che indossava la tuta da meccanico.
-Chi è il tipo?
--Il cameriere dietro il banco.
-Lo conosco, è un mezzo greco.
-Mezzo?
-Sua madre è di Creta, bella femmina.
-Fra un po' il locale chiude, disse l'uomo con la tuta da meccanico guardando l'ora.
-Chiude adesso, io non ho tempo, rispose lo spilungone e aprì la portiera.
Scesero tutti e tre e si avviarono verso il "Blaues Wunder". L'uomo che indossava la tuta da meccanico aveva già visto lo spilungone al lavoro un paio di volte e gli si accapponò la pelle.

28. -Vostro padre e mio padre non erano cari amici, ma si rispettavano assai, disse Gaetano Scognamiglio.
Gegè non gli rispose niente e non mosse un muscolo: doveva essere l'altro a parlare, lui era stato invitato, e poi era un uomo nuovo, aveva messo piede in quella città a mezzogiorno e dodici e non era ancora mezzanotte.
-Mio padre non si sente tanto bene, ma vi saluta e vi manda questo.
Gegè aprì la pesante busta. C'erano dentro due foto, ventimila marchi e una chiave. Guardò le foto: si vedevano i corpi nudi e massacrati di un uomo assai pesante di mezza età e di una donna molto bella.
-Quella chiave apre una cassetta di sicurezza alla centrale della Volksbank.
Gegè richiuse la busta e si alzò per andarsene.
-Aspettate un momento, Rossetti. Mio padre non lo avete visto e se non lo vedrete mai vorrà dire che vi sarete comportato bene. Fatevi istruire da chi sa le cose meglio di voi e svuotate la cassetta.

29. La ragazza aprì il garage e gli passò le chiavi della macchina.
Si mise al volante e lei gli sedette al fianco, tirandosi su il collo del montone foderato di pelliccia fino a coprirsi il naso.
-Non metti in moto?
-Qui al buio non ci vede nessuno, e di qui tengo d'occhio la casa e la strada fino all'angolo. Voglio vedere chi arriva.
-Tu sei sicuro che arriverà qualcuno?
-Più che sicuro.
-E allora andiamocene, ci sono mille posti più sicuri di questo.
-Nessun posto è sicuro se ci arrivi con una macchina che tutti conoscono.
-Non è mia, è di mia sorella.
-E che differenza fa?
Rise e la guardò.
-Appena viene giorno, se non è successo ancora niente, ce la squagliamo. Poi rubo una macchina, poi un'altra e se serve ancora un'altra. Prima di notte dobbiamo stare oltre il confine.

30. Il Centurione vide il furgone dell'Autosoccorso e capì subito. Cercò con gli occhi nel buio e vide un'ombra che gli si avvicinava cautamente.
-C'è un'altra auto ferma in quell'angolo con un uomo al volante, riferì il Caposquadra.
-Quanti uomini hai visto in tutto?
-Tre: uno è uscito dalla macchina e due dal furgone.
-Dove hai messo la tua gente?
-Li ho ben sistemati tutto intorno. Uno tiene di mira l'uomo al volante. Due sono sul tetto di quella casa laggiù in fondo e tengono d'occhio il cortile sul retro del locale.
-Che nessuno faccia niente altro che osservare. Passa parola.
Il Caposquadra si mosse velocemente sparendo nel buio.
Il Centurione si mise in bocca una caramella di liquirizia.

31. Lo spilungone premette a lungo il pulsante dello sciacquone del cesso. Aveva afferrato per il collo il banconista con una mano enorme e gli teneva la testa ben ferma dentro la tazza. Si udiva solo lo scroscio violento dell'acqua e il rantolo del cameriere che cercava disperatamente di respirare. Poteva farlo solo con la bocca perché il naso frantumato e spiaccicato era pieno di sangue e di muco.
Lo tirò su, lo appoggiò al muro e gli calò violentemente un pugno sulla clavicola sinistra. Dal rumore che sentì l'uomo che indossava la tuta da meccanico pensò che doveva essersi frantumata in dieci pezzi.
Il cameriere non riusciva nemmeno più a urlare. Il sangue gli colava dal naso come da una fontana, ma lui teneva gli occhi sbarrati dal terrore sulla faccia dello spilungone.
-La tua vita non vale più un cazzo, amido, se non ti decidi a dirmi quello che voglio sapere. Scelgo io comunque come farti crepare, e non ti divertirai troppo.
Gli infilò di colpo nella bocca le dita della mano destra, mentre gli serrava il collo con l'altra mano. Tirò fuori con uno strappo violentissimo almeno venti centimetri di lingua.
L'uomo che indossava la tuta da meccanico rabbrividì sgranando gli occhi: non aveva mai visto una lingua umana tanto lunga e paonazza.
Uno schizzo di sangue uscì dalla bocca spalancata insieme a una specie di muggito inarticolato.
-Allora? Chiese lo spilungone.
Il cameriere annuì mugolando.
Lo spilungone lasciò libera la lingua che rimase per qualche secondo penzoloni; poi cominciò lentamente a rientrare nella cavità orale del cameriere che vomitava sangue e saliva.
-Volevi dire qualcosa? Chiese di nuovo lo spilungone.
L'altro cercò di emettere dei suoni, ma gli si doveva essere gonfiata la lingua perché non riusciva più a chiudere la bocca.
-Scrivi qui sopra, gli intimò lo spilungone.
Ci mise un po' di tempo perché le mani gli tremavano orridamente.
-Via di qua! Intimò ai suoi compagni lo spilungone quando ebbe l'indirizzo.

32. Gegè aveva svuotato la cassetta come gli era stato consigliato e ne aveva subito affittata un'altra a nome suo. Da quella di suo padre aveva tirato fuori cinquantasettemila marchi in contanti, un contratto di acquisto e due chiavi di un magazzino in una strada periferica, con annesso un piccolo locale di due stanze e cucina al primo piano, collegato al magazzino da una scala di ferro esterna, e infine in una busta di plastica un anello d'oro massiccio con le iniziali in grande intrecciate S e R.
Uscì dalla Banca e, preso a volo un taxi, si fece portare al magazzino. Era naturalmente vuoto, ma pulito e messo in ordine da poco. Nella cassetta delle lettere c'era una busta chiusa senza indirizzo. L'aprì e lesse i due fogli dattiloscritti che conteneva. Dopo bruciò tutto con la fiamma del suo accendino.

Fine della prima parte



4 commenti:

  1. non mi gusta, troppa carne cruda.
    ... (perchè hai chiamato i poliziotti come se fossero antichi romani?)

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  2. Io volevo vedere se arrivavi alla fine...
    Perché non è un racconto a sé stante, ma voglio inserirlo in un contesto.
    Insomma l'ho pensato dentro il contesto, capito?
    Comunque complimenti per la stringatezza.
    (Urgenza per effetto chiodini?)
    :)))

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  3. Addirittura numerati... :)
    Non sarà che le mie amichevoli rampogne ti hanno fatto un po' incazzare? (Ti capirei, perché anch'io ci rimasi un po' male quando i primi tempi vennero a dirmi che i caratteri colorati su sfondo nero affaticavano la vista... ma adesso gli sono grato, perché hanno contribuito a migliorare il blog, e perché in fondo dicevano quelle cose perché volevano leggermi...)
    Comunque grazie, perché so che hai sprecato tempo e fatica per accontentare noi lettori.
    Un abbraccio spilungoso... :D

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  4. No. Erano e sono ancora numerati sul testo originale, come nei vangeli.
    Mi spiego: sto testo dovrebbe -nota bene, "dovrebbe"- appartenere a "Intervista a D.O.", almeno nelle mie intenzioni.
    Per questo è stato numerato, come una Bibbia, per questo i poliziotti sono chiamati come gli antichi romani.
    Forse rimarrà solamente un tentativo.
    Vedremo. Ma grazie del tuo intervento e dei consigli.
    Ciao.

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