venerdì 9 aprile 2010

L'ELISIR D'AMORE prima parte

Amleto Iacoponi, il mio papà, aveva una bellissima voce da tenore di grazia, solo troppo esile, forse perché non aveva studiato canto al Conservatorio; ma riusciva a cantare tutte le romanze famose. Due erano quelle che ricordo meglio -perché le cantava a me per farmi addormentare, con scarsi risultati, perché io lo ascoltavo a bocca aperta fino alla fine e poi gli chiedevo il bis- : una era "Una furtiva lacrima" da L'elisir d'amore di Donizetti, l'altra "Il lamento di Federico" da L'amico Fritz di Mascagni. Ogni volta che papà attaccava
"È la solita storia del pastore,
il povero ragazzo volea raccontarla,
ma s'addormì.
C'è nel sonno l'oblio
come lo invidio...
Io attaccavo a piangere.
Mi commuoveva quel suo singhiozzo nella voce alla Beniamino Gigli, calcolate le dovute distanze.
Quando ero già grandicello mio padre cercò di insegnarmi a prendere le note, con poco successo, data la mia voce metallica da baritono tendente ai suoni scuri.
Amleto Iacoponi credeva nel destino. Me ne ha raccontate di cotte e di crude, che avevano tutte a che fare col destino e con la sua bella voce, che una volta gli avevano salvato la vita.
Un'altra volta però gliela distrussero.
Mai avrei creduto, scrivendo il post dell'altro ieri, cui ho dato -guarda caso- come titolo quello di una famosissima opera verdiana, che provocasse una discussione così ampia, variegata e bene articolata. Allora ho deciso di aggiungere quest'altro post, dal titolo donizettiano in onore al mio papà, seguito di quello dell'altro ieri e diviso in due parti, perché sembra che sia di moda postare a rate, quindi mi adeguo.
Wie gesagt, come ho detto, mio padre credeva nel destino e nella sua voce "un dono di Dio" l'aveva battezzata.
"Una volta il destino prima, la voce poi mi hanno salvato la pelle", e iniziava il racconto, che io -pupo di quattro o cinque anni- ho mandato a memoria.
A 20 anni, nel 1916, Amleto Iacoponi era sul Carso. Si era arruolato tra gli "Arditi", una specie dei Commandos di adesso. Sotto le stellette avevano una fiamma rossa che avvolgeva un pugnale dall'impugnatura dorata. Avevano tutti seghettato la baionetta lungo il lato più tagliente della lama, per crudeltà: se trafiggi un uomo con la baionetta normale, questi ha qualche probabilità di cavarsela, ma se la lama è seghettata, quando la estrai strappa dentro tutto quel che trova e il nemico è fregato. Muore tra atroci dolori. Gli austriaci ammazzavano subito un ardito fatto prigioniero, per quella ragione.
Quella notte mio padre doveva andare a tagliare reticolati insieme ad altri tre arditi, nella terra di nessuno tra la loro trincea e quella nemica. Non trovava il suo cinturone con la "sua" baionetta. DESTINO, numero UNO. Si fece prestare il cinturone da un fante che stava lì vicino. Non era un ardito e la sua baionetta era normale. DESTINO, numero DUE.
Poco fuori dalla loro trincea il nemico li avvistò; qualcuno lanciò alcune bombe a mano. Mio padre fu ferito ad una coscia e rimase a terra; un altro compagno fu anche ferito, gli altri due si diedero alla fuga perché stavano arrivando gli austriaci. La prima cosa che i nemici fecero fu quella di estrarre le due baionette: quella dell'altro ardito era seghettata, quella di mio padre no. DESTINO, numero TRE. Uccisero subito l'altro, ma non Amleto Iacoponi, che fu riportato nelle loro linee a calci nel culo, ma vivo. "Erano soldati bosniaci, cattivissimi -raccontava papà- ne avevamo tutti paura".
Comunque era sempre un ardito, anche se col suo faccino sembrava più un bambino un po' cresciuto che un soldato d'Italia; pertanto doveva considerarsi più morto che vivo.
"Mi riempirono il sedere di calci e la faccia di schiaffi -continuava papà- finché arrivò un graduato. Sai cantare, italiano? mi chiese. Feci cenno di sì. Allora canta"
Ad Amleto Iacoponi, un po' per la paura, un po' per la gamba ferita, usciva dalla gola un filo di voce. "Assulimmia, Assulimmia!" gridavano quei soldati.
Non so proprio come mio padre poté capire, ma gli cantò O sole mio, e vide che mentre cantava facevano la faccia sorridente, beata.
"Avevo salvata la pelle con quella canzone" finiva il mio papà ridendo. DESTINO, numero QUATTRO. Vale doppio, perché aveva salvato anche la mia.
Fine della prima parte.

3 commenti:

  1. Le storie di guerra vissute e raccontate di padre in figlio sono GRANDIOSE! La tua è simile a quella che il mitico prof G. ci ripeteva in classe, a proposito della "cinghia del Carso" dello zio: pur non essendo un sadico, la usava come estremo strumento di correzione quando il nipote ne combinava di grosse.
    Anche questo zio Luigi dovette la vita a una cintura, come tuo padre. Vuoi che ti scriva la storia?

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  2. Scrivimi la storia. Mi piacciono da matti queste storie di persone che non ci sono più, ma che hanno lasciato un'ombra lunghissima del loro passaggio.
    Se giro e rivolto nella memoria della mia infanzia e della mia giovinezza, ci trovo due figure maschili enormi: quella di mio padre e quella di mio fratello, la mia seconda "Vaterfigur".
    A volte mi chiedo cosa lascerò di me dentro ai miei figli e mi viene da ridere: ne abbiamo combinate tante insieme, cosa vuoi che ricordino? Un padre incazzoso, che fumava una sigaretta dietro l'altra, che non si ubriacava mai, che non picchiava donne, né uomini, che rideva per ogni sciocchezza, che raccontava tante barzellette, che parlava un dialetto che loro non riuscivano nemmeno ad imitare, che li ha fatti diventare interisti come lui, più di lui, che guidava da dio -e loro a guardare mani e piedi "soprattutto i piedi, ragazzi, e la velocità di esecuzione: quella può salvarvi la vita se la sapete fare bene e in fretta" e allora attenzione ai piedi di papà che volano sui pedali-; che non andava mai in chiesa ("perché non bisogna ingannarlo il buon Dio, ché altrimenti si arrabbia e ti punisce"); che era affettuoso con sua madre, che era vecchia e malandata e che si vedeva solamente una volta all'anno. Mi basta che ricordino che credevo in me stesso e che avevo fiducia nell'Uomo e rispettavo la Donna. A me basterebbe. Ma chissà loro come mi hanno veduto in tutti questi anni?
    Speriamo bene, speriamo.

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  3. Chissà perché registra sempre un commento quando io ho fatto il secondo?
    Con gli orari non mi trovo e col numero dei commenti nemmeno. Un po' scemo il concetto motore del computer: un mio amico genio del computer, Max l'assurdo, mi dice che il computer è semplicemente stupido, a me che credevo fosse intelligente.
    Comincio a credergli: è proprio stupidino.

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