lunedì 15 febbraio 2010

FAVOLE IN VIAGGIO CON LA VECCHIA, CARA POSTA

Oggi ho spedito a Cristina G.B. alcuni miei racconti inediti. Si tratta di favole tra il surreale e il metafisico, che non piacerebbero a Fuma -me lo ha detto lei stessa, commentando il primo capitolo del romanzo che sto scrivendo e che le avevo allegato ad una mail-, ma sono pronto a scommettere che piaceranno a Cristina. Intanto Ornella ha iniziato la lettura di "Martedì dopo l'autunno" e che Dio me la mandi buona, perché Ornella non ha peli sulla lingua e le cose non le manda a dire. Mi sono circondato volutamente di lettrici, perché dell'intuito femminile mi fido di più; ma non solo. Ho notato una non definibile reticenza da parte di lettori uomini, amici e parenti strettissimi, nell'esprimere un giudizio chiaro e illuminante su quanto abbiano letto. Mi hanno dato sensazioni diverse, a volte addirettura contrastanti, tipo "mi è piaciuto, ma non ci ho capito mica tanto"; oppure "belli entrambi i due romanzi", ed alla replica che si trattava di uno solo sentirmi dire "sì, può darsi; ma a me sembravano due di seguito, come al cinema". "Vuoi dire primo e secondo tempo?" (anche io ho bisogno di qualche attimo per afferrare un concetto contorto); "no, no, proprio come due film di una saga, tipo il signore degli anelli, o Henry Potter, una cosa così".
Beh, dopo ti senti meglio, vuoi mettere!
Invece con le ragazze è tutto più limpido, tutto più semplice: ti dicono non mi è piaciuto, fine. Oppure capiscono tutto, ma proprio tutto, anche le cose che tu credevi appartenessero solo al tuo mondo nascosto, invalicabile ad altri. Come ha fatto Cristina G.B., come farà certamente Ornella, come farà Fuma, quando toccherà a lei.
In fondo la mia prima esaminatrice, giudice e critico è stata mia madre, una donna che scriveva extra benissimo e che pretendeva dal figlio già dalle prime classi delle elementari "un modo di esprimersi elevato, e non mi rimanere ai pensierini tipo il mare è blu, il mare è agitato e il mare è grande assai, che ti sollevo da terra a schiaffoni". "Il mare è bagnato, mamma", dissi per provocarla e indurii i muscoli del collo aspettando la sberla.
"Se sei capace di approfondire questa definizione vuol dire che hai fatto un passo avanti, e che io non ho sprecato il mio tempo con te. Ma se non ci riesci, sai quello che ti succederà", concluse mimando uno schiaffo. Mi piantò lì nella disperazione più nera, perché la testa nel buco l'avevo infilata da solo, per fare il furbetto. Non temevo lo schiaffo, ci ero abituato, ma la figura di merda che avrei fatto, che stavo sicuramente per fare.
Sono uscito dal buco tirandomi per le orecchie con un ragionamento pseudo didascalico sul perché un liquido che bagna qualsiasi cosa vi si immerga è poi in fondo capace di bagnare se stesso, per l'inverso motivo secondo il quale chi ne resta fuori rimane asciutto, come l'aria che arriva a sfiorare il pelo dell'acqua o i piedi nudi di un ragazzo che pesca seduto sul pontile. E mi sono adesso incartato, come m'ero incartato allora, con le mie stesse parole; in fondo devo aver incartato anche mia madre quella volta, perché non mi ha dato quello sganassone che mi aveva promesso.

Nessun commento:

Posta un commento