martedì 23 febbraio 2010

CAPELLI BIANCHI

Tredici anni orsono a Bibione, una spiaggia dirimpetto a Lignano un tantino meno boriosa e cara del centro balneare friulano, facevo un po' il cane da pastore per quattro nipotini cresciutelli ma non troppo, badando che non combinassero troppi guai. Lo facevo per consentire alle loro mamme, le mie figlie Monica e Stefania, e ai loro papà, i miei due generi, di tirare un sospiro di sollievo e divertirsi un pochettino. Annamaria leggeva una rivista sotto l'ombrellone e di tanto in tanto sonnecchiava. Il cielo era splendidamente blu, il mare calmissimo, la temperatura non eccessivamente afosa, la sabbia cuoceva i piedi, ma bastavano un paio di infradito a scongiurare scottature. Particolare non insignificante, io avevo sessantatrè anni e mi sentivo "nu lione".
Penso di essermi soffermato un attimo di troppo ad osservare un paio di belle natiche al sole, quel tanto che è bastato alla più piccola del gruppetto per andare ad inzaccherare di sabbia bagnata un asciugamano disteso sulla sabbia in attesa di accogliere un corpo, penso.
"Gesù! E che è 'sto schifo! E tu schifosona pussa via da lì sopra!"
È stato questo l'urlo che mi ha distolto dalla contemplazione delle belle chiappe.
S'eran tutti girati da quella parte: in quell'angolo di spiaggia sembrava che la gente trattenesse il fiato. Ma dopo un attimo era come un ronzio, un brontolio neanche troppo sommesso di domande e di esclamazioni nei più svariati dialetti:
"Oddio, che è stato?"
"Bedda matri co fu?"
"Chi cazzo rompe?"
"Urca...orco....ostrega....'rco zio"
Sofia, la mia nipote più piccola, era sola in mezzo a una selva di capocce e di torsi abbronzati e non sapeva più cosa fare. Il fratello e i due cugini se ne stavano a qualche metro con gli occhi sbarrati e non osavano intervenire. Un trippone tipo boa da ormeggio sovrastava Sofia con le mani ai fianchi e lo sguardo truce, mentre un donnone con cosce immense da far invidia ad un maialone romano di 15 mesi sembrava colto da convulsioni isteriche. Ne dedussi che l'asciugamano inzaccherato fosse destinato ad accogliere il suo enorme deretano. Solo quello, tutta intera non ci sarebbe mai entrata.
Mi feci avanti attraversando il mucchio e posi una mano sulla testa di Sofia, sfoderando il mio sorriso più accattivante, quello che uso nei casi disperati.
"Non è successo niente, provai a dire, è una bimbetta di tre anni"
"E allora se la tenga sua madre" strillò il donnone alzando le braccia al cielo e lasciando ballonzolare il lardo suo.
Io intanto provavo a portar via Sofia da lì in mezzo e con la coda dell'occhio cercavo di vedere se gli altri tre avessero capito l'antifona e si fossero già allontanati. Neanche a pensarci: avevano sgomitato per guadagnare la prima fila e adesso se ne stavano a bocca aperta in attesa dell'evento, chissá quale, ma comunque sempre una cosa nuova nuova e interessante. E poi c'è nonno, con lui ci si diverte sempre.
Evviva la faccia, gente! Mettete al mondo figli, che poi vi cacano questi nipoti e ve li lasciano "solo per una mezzoretta, papà; tanto sono buoni", ma dopo tre ore ancora non si vedono.
Intanto l'immondo batrace in mutande da bagno mi ha messo gli occhi addosso e li stringe come fa un miope quando non vede una mazza, oppure un serpente quando vuole ingoiare la preda, suppongo.
"Adesso come la mettiamo?"
"Lo mandi in lavanderia e mi porti il conto; noi siamo tutte le mattina sotto l'ombrellone numero 115"
"E se domattina partite?"
"Alle corte, gli dico,una sciocchezza del genere non può costare più di diecimila lire. Adesso gliele porto" e faccio l'atto di allontanarmi.
"OK! fa il rospo, ma prima porti via di qui quella fetente"
Che te possinammazzatte brutto stronzo, pensiero rapido; ma dove cavolo sta mio genero, il padre di Sofia, cintura nera di judo? pensiero rapidissimo.
Ma non si può rimanere zitti, non io, non Vincenzo Iacoponi. E no!
"Guarda che questa fetente ha un nome e un cognome e soprattutto un nonno, che sono io, che te fa un culo tanto se non chiudi quella fogna".
Cacchio, gente! Era il doppio del mio peso e come minimo trenta anni più giovane, ma io sono della vecchia scuola, di quelli sopravvissuti al secondo conflitto mondiale. Datevi una regolata.
Appena fa 'na mossa, pensai, je dò 'n carcio ne le palle e so cazzi sua.
Il trippone debordante deve aver pensato la stessa cosa, perché ebbe un attimo di esitazione, quel tanto che bastò ad un giovanotto aitante e premuroso per mettersi in mezzo.
"Nonnetto, mi disse con un sorrisone, vada nonnetto, vada con la bimba, non è successo niente. Vada pure senza preoccupazioni, nonnetto"
E daje co 'sto nonnetto; mo sta a vedè che lo devo pure da ringrazzià 'sto stronzo de merda.
Basta. Me ne sono andato con la piccola per mano, seguito dal resto del branco ed ho pure risparmiato le diecimila lire.
Ho ripensato a questo fatto ieri mattina. Sono andato a Wörth per spedire un pacchetto. Ho parcheggiato la macchina nel piazzale -piazzale ho detto, non vicolo, ricordatevelo- antistante l'ufficio postale, e col mio pacchetto sottobraccio ho fatto l'atto di avviarmi. In quel momento ho visto un'ombra alla mia destra; mi sono girato: un uomo sui trenta anni si era fermato e mi faceva cenno di passare. "Guten Morgen" mi ha detto, portandosi due dita alla falda del suo cappello. Ho risposto e sono passato. Lui avrebbe potuto attraversare obliquamente il piazzale passandomi dietro oppure davanti, c'era spazio sufficiente per entrambi, ma aveva preferito non intralciarmi il passo. Non lo avevo mai visto, né lui aveva mai visto me. Aveva lasciato la precedenza ai miei capelli bianchi. Questa è una delle tante cose che amo nei tedeschi: il rispetto per le persone anziane. Non siamo a Sparta né a Roma antica, qui non ci sono tabelle con su scritto "Senatus populusque wörthenses oppure germanicus", ma hanno il massimo rispetto per chi sta su questa terra da qualche decennio prima di loro. E poi il rispetto per gli animali, domestici e no. E infine il totale rispetto della cosa pubblica, perché se è pubblica è di tutti, cioè anche nostra. Vallo a dire a un italiano in Italia.

3 commenti:

  1. Chi per quei mari va, quei pesci piglia! :)

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  2. avvincè, quanno te 'ncazzi pensi sempre in romano?
    mi hai fatto ridè! eccevvoleva, in questa giornata de pioggia..
    come va il mio romanesco?

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  3. a Vincè, quanno te 'ncazzi pensi sempre in romanesco? Mae fatto ríde! Eccevoleva propio (se dice propio e no proprio) 'nde sto giorno de pioggia.
    Migliori, Fuma, migliori lo scritto, ma bigna vede la pronuncia...

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